dicembre 17, 2017

La questione sionista ed il Vicino Oriente – Documentazione tratta da “Oriente Moderno”: Cronache dell’anno 1921. La situazione al 1° Dicembre 1921.


Cap. 60

Top 59 cc ↓ 61a → § 60

Il Congresso siriano-palestinese
da: Oriente Moderno,
Anno I, Nr. 7, p. 411-13
15 dicembre 1921.

Il Congresso siriano-palestinese. – Sul Congresso Siriano-palestinese, di cui abbiamo dato già notizia (1), prendiamo da una corrispondenza inviata da Ginevra da Ali el-Ghaiati alla Correspondance d’Orient le seguenti notizie e considerazioni, che mostrano meglio il significato e il carattere di tale importante avvenimento. Vi è chiaramente mostrato il dissidio siriano-palestinese.

Nello scorso aprile il Comitato Centrale della «Unione siriana» del Cairo aveva lanciato un appello invitando tutti i partiti politici che lavorano per l’indipendenza e l’unità della Siria a riunirsi in congresso a Ginevra nel momento della discussione dei Mandati presso la Società delle Nazioni.

Il progettato Congresso Siriano aveva per iscopo di unificare lo sforzo dei partiti che vi doveano prendere parte, e di far valere avanti alla Società delle Nazioni i diritti della Siria una e indivisibile, come pure i voti dei suoi abitanti. Avendo parecchi partiti risposto all’invito della «Unione Siriana», questa fissò definitivamente la data di riunione del Congresso per il 25 agosto 1921.

A questa data infatti il Congresso tenne una seduta preliminare a Ginevra.

Non essendo ancora giunti parecchi delegati, si rinviò la continuazione dei lavori al 27 agosto, e in questo giorno il Congresso Siriano fu aperto ufficialmente.

Le organizzazioni politiche che si sono fatte rappresentare a questo Congresso sono nove, e cioè:

Il Comitato centrale dell’Unione Siriana (Cairo), il Comitato palestinese d’Egitto (Cairo), la Delegazione palestinese (Gerusalemme), l’Indipendenza araba (Transgiordania, Palestina, Siria), il Consiglio amministrativo del Libano (in esilio), il Partito nazionale arabo (Buenos Ayres), l’Indipendenza e l’unità della Siria (Santiago), «National League for liberating Syria» (New-York) e «Syrian National Society» (Boston).

Il totale dei congressisti rappresentanti questi enti fu di quindici persone.

Da uno dei quattro delegati dell’Indipendenza araba era anche rappresentato il ben noto Ibrahim Hanano (2), che le autorità inglesi in Palestina, ove egli era arrivato di recente, hanno ora arrestato e consegnato ai suoi nemici francesi.

Il Congresso, fino ad allora giustamente chiamato «Siriano», il giorno della sua inaugurazione fu detto invece «Siriano-palestinese», per l’intervento dei delegati palestinesi arrivati da Londra. Costoro, che in principio avevano tentato di fare un congresso essenzialmente arabo, denominandolo «Congresso Arabo», incontrarono una viva opposizione, specie da parte dell’Unione Siriana, in seguito alla quale essi si limitarono a reclamare che si aggiungesse la parola «palestinese». Per evitare ogni malinteso il Congresso accolse la loro domanda. Fu un primo colpo contro l’unità siriana; ma non fu - ben inteso - l’ultimo.

I Palestinesi, che sembravano adottare il punto di vista inglese riguardo al problema arabo, non potevano accettare una politica unitaria siriana che avrebbe fatalmente irritato gli ambienti inglesi che essi credevano favorevoli alla loro causa. Sembra che questi ultimi vedano in ogni tendenza unitaria una manifestazione segreta della politica francese. Qualunque spiegazione e qualunque rassicurazione da parte dei Siriani, i quali non vogliono il Mandato francese e lottano apertamente contro la ingerenza francese, furono inutili. La delegazione Palestinese, la cui preoccupazione dominante è di sbarazzarsi del Sionismo, teneva più che ad ogni altra cosa, ad allontanare qualunque argomento che sembrasse sospetto agli occhi degli Inglesi.

Sin dal primo contatto i suoi inviati, che non erano tutti dei più capaci, hanno nettamente espresso la loro opinione a questo riguardo, ed hanno, per così dire, spostato la discussione. Per guadagnarli alla propria causa il Congresso si è indotto a prendere una risoluzione particolare di cui ecco la traduzione letterale:
«Il Congresso riunito a Ginevra e composto dei rappresentanti dell’Unione Siriana, dell’Indipendenza araba, della Delegazione palestinese, e della Lega nazionale per la Liberazione della Siria, decide di rivendicare l’indipendenza completa della Siria e della Palestina, l’una con l’altra, e con gli altri paesi arabi».
Questa decisione, un poco oscura, fu la base dell’intesa tra i Siriani e i Palestinesi. Essa è stata in seguito chiaramente confermata nei numeri 1 e 2 delle cinque risoluzioni finali del Congresso, di cui ecco il testo:
1° Il riconoscimento dell’indipendenza e della sovranità della Siria, del Libano e della Palestina;
2° Il diritto di questi paesi di unirsi fra di loro, con un Governo civile e parlamentare, e di federarsi con gli altri Stati arabi;
3° La decisione immediata della cessazione del Mandato;
4° L’evacuazione immediata della Siria, del Libano e della Palestina da parte delle truppe franco-inglesi che le occupano;
5° L’annullamento della dichiarazione Balfour relativa alla sede nazionale ebraica.
I partigiani dell’unità siriana hanno dovuto per conseguenza cedere davanti all’attitudine dei delegati palestinesi che si sono categoricamente rifiutati di aderire a questa unità, anche nel quadro d’una confederazione araba. È per questo che, malgrado gli sforzi di Michele Lutfallah e dei suoi colleghi d’Egitto, l’unità siriana, uno dei principali scopi del Congresso, non è stata rivendicata nè nelle risoluzioni del Congresso, nè nei rapporti che questo ha presentato alla Società delle Nazioni.

I delegati palestinesi hanno seguito un programma nazionale, cioè antisionista, e arabo. Essi hanno dichiarato a varie riprese che la Palestina è pronta ad unirsi a qualsiasi paese arabo, per esempio l’Egitto, se questo paese riuscisse ad ottenere la sua indipendenza. Piuttosto ottimisti, essi dicevano in pieno Congresso che la causa palestinese trionferà prima della causa siriana e che, per questo, essi non potevano legare la sorte del loro paese a quello della Siria. Nonostante la loro politica separatista, per così dire, e la loro opposizione alla unità siriana, essi hanno dovuto tuttavia votare le risoluzioni precedenti 3 e 4, che richiedono la cessazione immediata del mandato e l’evacuazione del paese dalle truppe che lo occupano. Forse essi l’hanno fatto senza molto entusiasmo, ma in ogni modo l’hanno fatto, con il fine soprattutto di dissipare ogni sospetto e di evitare ogni critica, sia da parte francese, sia da parte siriana.

Non tutti i Palestinesi sono però ostili all’unità siriana; sono ad essa favorevoli molte personalità ragguardevoli.

Se il principio dell’unità siriana non ha trionfato, come si aspettava, nel seno del Congresso, ciò non toglie che questo abbia reso importanti servigi alla causa siriana nel suo insieme. Grazie alla sua opera l’opinione pubblica in Europa considererà ormai il problema siriano con molto più interesse e migliore cognizione.

Quanto al pensiero arabo, di cui la questione siriana non è che una evidente manifestazione, bisogna pur riconoscere ch’esso ha dominato, direttamente o indirettamente, il Congresso, e che ne è uscito fortificato. Non si è voluto fare, e a ragione, del congresso Siriano un Congresso Arabo ufficiale, ma non si è mai osato combattere il pensiero arabo. D’altra parte l’Unione Siriana ha sottoscritto assai volentieri all’unione della Siria con gli altri paesi arabi in una confederazione, con la sola riserva di garantire la indipendenza e l’unità della Siria. È ancora da notarsi che una buona parte dei congressisti ha lavorato e lavora sempre alla istituzione di questa confederazione araba. Essi, a questo scopo, guardano la formazione del regno di Bagdad e dello stato di Transgiordania, con molta simpatia e speranza. Quelli stessi che diffidano dell’amicizia inglese seguono con vivo interesse lo sviluppo della politica araba di Londra, e forse non vedrebbero di cattivo occhio in Siria un regime analogo al regime attuale della Mesopotamia.

A questo proposito sia permesso fare la seguente constatazione. Si apprende da buona fonte che il progetto francese del Mandato in Siria sarebbe più o meno simile al progetto inglese per la Mesopotamia. Si sa che il primo rimane riservato, mentre il secondo è stato pubblicato, come tutti gli altri progetti di Mandato, francesi o inglesi.

D’altra parte il dottore George Samné ha tracciato, qualche giorno fa, un programma significativo (3) che richiede per la Siria un Re designato dalla maggioranza degli abitanti, l’unità, un Governo nazionale, il Mandato francese. In questo regno cristiano il Libano sarebbe ridotto «al limite di una sede cristiana». Questo programma non sembra del tutto estraneo al progetto francese.

È una semplice coincidenza?

Comunque sia, una politica francese di conciliazione s’impone oggi più che mai. Essa sarebbe senza dubbio accolta favorevolmente dai Siriani, i quali si sforzano, d’altra parte, di provare alla Francia che la pratica di una tale politica non sarebbe affatto contraria ai suoi interessi. Essi si dichiarano pronti a riconoscere e a salvaguardare questi ultimi se, dal canto suo, il Governo della Repubblica è pronto a riconoscere e a rispettare i diritti sovrani della loro patria.

Del resto i mezzi di conciliazione non mancano.

Ecco un altro programma:

In una lettera particolare indirizzata il 27 settembre 1921 a Gabriel Hanotaux, membro della Delegazione francese alla Società delle Nazioni , Mohammed Rashid Ridà, ex-presidente del Congresso generale e Costituente di Damasco e direttore della celebre rivista araba al-Manar del Cairo, propone ciò che segue:

«La Francia riconoscerà che la Siria è degna di essere libera e indipendente e che il popolo siriano è atto a governarsi da sè. Essa permetterà a questo popolo di formare un Governo nazionale indipendente sulla base del decentramento, secondo la forma che sceglieranno i rappresentanti eletti dal paese. Sarà conchiusa un’alleanza fra la Siria e la Francia, in virtù della quale gli interessi di questa saranno salvaguardati, e una posizione preponderante economica e morale le sarà accordata sul territorio siriano».

Bisogna infine ricordare le dichiarazioni dell’Emiro Michele Lutfallah, presidente dell’Unione Siriana e del Congresso Siriano-palestinese di Ginevra, che, pur reclamando l’indipendenza della Siria sotto la garanzia della Società delle Nazioni, desidera vivamente « conservare i rapporti tradizionali di amicizia e di simpatia reciproca con la Francia».

È ancor tempo per la Francia di cogliere questa preziosa occasione e di riconciliarsi con i suoi amici della Siria. Facendolo in questo momento opportuno essa servirà i suoi propri interessi e rialzerà il suo prestigio morale nell’Oriente musulmano. (Correspondance d’Orient, 15-11-1921).

(1) Cfr. Oriente Moderno, fascicolo 5°, p. 291 [vedi] e fasc. 6°, p. 362 [vedi].
(2) Cfr. Oriente Moderno, fascicolo 5°, p. 292 [vedi].
(3) Nel numero di settembre della Correspondance d’Orient.

M. G.



Cap. 61

Top 60 cc 62 → § 61a

Proteste contro il Congresso siro-palestinese di Ginevra
da: Oriente Moderno,
Anno I, Nr. 7, p. 413-14
15 dicembre 1921.

Proteste contro il Congresso siro-palestinese di Ginevra. - La Commissione per la difesa dei diritti del Libano scrive ad al-Muqattam lagnandosi che il «Congresso del partito arabo dell’Higiaz» (1) tenuto a Ginevra abbia osato parlare in nome dei Libanesi, basandosi sul fatto che vi è intervenuto un antico membro del Direttorio Libanese. [Allude a Suleiman Bey Kan’an, cfr. infra, O.M., p. 414 col. I].
«Fra le richieste presentate da questo Congresso, si è reclamato per il Libano il diritto di unirsi ai paesi arabi, mentre il Libano (separato dalla Siria prima della guerra) è contrario a questa soluzione, e desidera un regime speciale, indipendente dalla Turchia, garantito dalle grandi Potenze e assolutamente autonomo, quale gli è stato annunziato dalla Francia.

«L’Inghilterra, nei suoi accordi con il Re (allora Emiro) Husein, aveva esplicitamente escluso il Libano dai territori che avrebbero fatto parte del regno arabo, e aveva notificato questo a S. M. per mezzo del suo rappresentante in Egitto.

«La Commissione per la difesa dei diritti del Libano protesta quindi contro la pretesa del Congresso di rappresentare il Libano, – senza, ben inteso, condannare gli argomenti sui quali il Congresso fonda le proprie rivendicazioni presso la Società delle Nazioni, - ed ha esposto le sue aspirazioni in un memoriale diretto al Presidente della Società delle Nazioni e a quello della Repubblica Francese».

(al-Muqattml, arabo del Cairo, 18-11-1921)
(1) Lo chiama così per insinuare ch’esso fu, in realtà, emanazione del Re Husein; gli avversari del Congresso dicono che il suo presidente, principe siriano Mishai Luffallah, sia alla dipendenza segreta del Re Husein. - V. V.

Si veda nell’Oriente Moderno, fasc. 6°, p. 362 un’altra protesta del Patriarca maronita.

La Correspondance d’Orient del 15 novembre riferisce analoga protesta del Patriarca greco-ortodosso d’Antiochia, Gregorio; il quale, in una lettera diretta a Sir E. Drummond (segretario della Società delle Nazioni) afferma l’assoluta necessità del Mandato alla Francia, cbe garantisce sicurezza e progresso alla Siria.



Cap. 62

Top 61 cc ↓ 63 → § 62a

La costituzione della Palestina
da: Oriente Moderno,
Anno I, Nr. 7, p. 415-16
15 dicembre 1921.
La costituzione della Palestina. - Il settimanale italiano Israel pubblica le seguenti notizie, circa la costituzione della Palestina, che noi riportiamo con le stesse parole del periodico:

Sir Herbert Samuel ha fatto la seguente dichiarazione dinanzi alla dodicesima riunione del Consiglio Amministrativo, che ebbe luogo il 20 novembre 1921 [a Gerusalemme]:
«Conforme ad altro caso precedente, la costituzione della Palestina avrà la forma di un decreto emanante da Sua Maestà d’accordo col Consiglio.

Contemporaneamente sarà pubblicata una legge separata che si occuperà della nazionalità. Poiché le clausole di questa legge debbono essere conformi ai termini a name="sessantaduesevres">del trattato di Sèvres, è necessario ch’essa assuma pure la forma di un “order in Council”.

Questo decreto applicherà la clausola del trattato di Sèvres secondo la quale tutti i sudditi ottomani che hanno la loro residenza abituale in Palestina diventeranno immediatamente cittadini palestinesi. È fatta eccezione pel caso di sudditi ottomani che appartengano per la loro razza ai popoli dell’America, della Georgia, della Grecia, della Turchia e della Bulgaria, i quali desiderassero optare per la nazionalità di uno dei detti paesi. Queste persone avranno diritto di fare, entro l’anno, una dichiarazione optando per una di queste nazionalità, ma non cesseranno di essere cittadini palestinesi fino a quando non avranno lasciato il paese e stabilita la loro residenza in altri paesi.

Conforme ai termini del trattato, gli Ebrei di nazionalità straniera, che hanno la loro residenza abituale in Palestina, quando il trattato andrà in vigore, potranno diventare cittadini palestinesi, qualora dichiarino entro l’anno il loro desiderio di optare per la nazionalità palestinese.

La cittadinanza dovrà pure essere acquistata mediante la naturalizzazione, vale a dire, mediante il conseguimento di un certificato di nazionalità palestinese da parte di un suddito straniero. La legge prevede che l’Alto Commissario potrà accordare la naturalizzazione alle condizioni seguenti:

1° Che la persona di cui trattasi abbia avuto la sua residenza in Palestina durante almeno tre anni prima di fare la sua dichiarazione.
2° Che essa goda buona reputazione e possieda una sufficiente cognizione dell’arabo, dell’ebraico o dell’inglese.
3° Che essa abbia intenzione di stabilire la sua residenza in Palestina.

Queste condizioni si applicano senza alcuna distinzione di razza o di religione».

(Israel di Firenze, 1-12-1921).

M. G.


Cap. 63

Top 62 cc ↓ 64 → § 63a

Commento arabo allo schema
del Mandato sulla Palestina
da: Oriente Moderno,
Anno I, Nr. 7, p. 416-417
15 dicembre 1921.

Commento arabo allo schema del Mandato sulla Palestina. - Riassumiamo in breve le osservazioni che il giornale arabo musulmano al-Karmel di Caiffa ha posto ad alcuni articoli dello schema del Mandato sulla Palestina:

Art. 2. - Si deve dedurre da questo articolo che restrizioni economiche e politiche a danno degli abitanti delta Palestina, se giovano allo stabilimento della Sede nazionale ebraica, debbono ritenersi giustificate? L’articolo non fa poi neanche cenno dei diritti politici degli abitanti della Palestina.

Art. 4. - Per mutare le sorti della Palestina non basta un grande Impero, non i Sionisti, occorrono ancora le forze degli Ebrei. Questo dimostra che l’oppressore si sente sempre debole di fronte all’oppresso che è dalla parte del diritto. È necessario che gli abitanti della Palestina affermino i loro diritti e veglino sui loro interessi economici e sociali, e avranno così in mano la migliore arma pacifica contro gli avversari.

Art. 5. - È destinato a far sì che le terre rimangano sotto il controllo della Potenza mandataria e dei Sionisti e ad evitare che ingerenze straniere possano mettere ostacoli allo stabilimento della Sede nazionale, e che i prezzi delle terre salgano. Se sarà approvato dalla Lega delle Nazioni costituirà una chiara prova delle ingiustizie che si compiono nel secolo xx.

Art. 6. - L’esperienza passata insegna che cosa sia questo rispetto per i diritti delle popolazioni, e fa prevedere l’avvenire! Tutte le terre poi, qualunque sia la loro qualità, appartengono alla popolazione del paese, e il donarle a immigranti pregiudica appunto i diritti della popolazione stessa.

Art. 9. - Queste dichiarazioni di rispetto per le nostre leggi religiose non corrispondono alla realtà; quello che è stato fatto per i waqf di Deir er-Rum lo dimostra.

Art. 11. - Da esso si deduce che l’Amministrazione attribuirà le concessioni e i lavori pubblici agli Ebrei e ai loro immigrati.

Art. 14. - Vi sono molti luoghi venerati da varie Comunità, ma che sono sotto l’Amministrazione di una sola di esse; come si provvederà ad essi secondo la lettera di questo articolo? Quando, trascorso il periodo del Mandato, gli Ebrei saranno divenuti maggioranza e la Potenza mandataria dovrà consegnare ad essi il paese e gli abitanti, chi garantirà i diritti religiosi di questi?

Art. 15. - Sembra che chi ha redatto il Mandato abbia creduto che gli Arabi, avuta la libertà di coscienza, abbandonino tutti gli altri loro diritti, o che abbia pensato che gli Ebrei, divenuti maggioranza, non vogliano neanche più concederci questa libertà! Tutti questi articoli di materia religiosa hanno bisogno di essere chiariti. L’ultima condizione, che vieta l’espulsione dalla Palestina per soli motivi religiosi è veramente meravigliosa: come se mancasse al forte la possibilità di trovare mille pretesti per incolpare il debole!

Art. 17. - Non si comprende perché l’Amministrazione della Palestina debba avere forze per la difesa, e il Mandatario mantenere le sue truppe; con il concorso dell’Amministrazione suddetta, se non è allo scopo di costringere gli abitanti della Palestina ad accettare la dichiarazione Balfour. È giusto costringere una popolazione a concorrere per mantenere una forza, la quale deve costringerla a cedere la propria terra ad altri?

Art. 18. - Mostra che l’accordo doganale con la Francia per la Siria è concluso; e a quanto sappiamo questo accordo non mira agli interessi della popolazione, ma al vantaggio di altri; inoltre l’accordo è prematuro, perché il Mandato non è approvato ancora, e non è lecito all’Amministrazione di emanare nuove disposizioni.

Art. 21. - Ne risulta che il Mandato non è ancora in vigore, e che, fino a che esso non lo sia, non è lecito emanare nuove leggi; perché invece se ne sono emanate? Inoltre le spese per le antichità debbono essere fatte con grandi economie, perché il paese ha bisogni assai più urgenti, quali l’agricoltura, l’istruzione ecc.

Art. 22. - È una questione che ha già imbarazzato l’Inghilterra per parecchio tempo. La maggioranza degli Ebrei sa l’arabo; e quelli che non lo sanno conoscono, piuttosto che l’ebraico, lo yiddish (1). Gli Ebrei son troppo pochi e il paese troppo piccolo per avere tre lingue ufficiali; senza pensare alla grave spesa che occorrerà per le traduzioni, per gli interpreti ecc., mentre il paese ha tanto bisogno di opere pubbliche.

Art. 23. - Una festa per settimana, con tutte le altre solennità religiose o civili, sembrava finora sufficiente. Vi saranno invece tre feste alla settimana con evidente danno economico.

Art. 25. - Si riferisce alla Transgiordania ed è redatto assai abilmente; in quanto toglie alla regione il nome che le era stato concesso prima. L’articolo dimostra l’influenza del Sionismo sulla politica inglese; e certo esso non è d’accordo con le dichiarazioni fatte dall’Alto Commissario [Samuel] quando la Transgiordania fu staccata dalla Siria. La responsabilità di questo stato di cose rimonta agli Arabi solamente, perché essi non sono stati mai concordi; e il Sionismo può offrire a loro l’esempio dell’unità del popolo ebraico e della sua organizzazione, con cui esso è riuscito a far valere la sua volontà perfino nei paesi di altre popolazioni.

In fine il giornale rinnova le sue proteste contro questo progetto, contrario alla fama della giustizia inglese; ciò nell’interesse dell’Inghilterra e degli Arabi insieme; e si augura che il Governo inglese voglia bene chiarire il significato del Mandato, articolo per articolo. Gli Arabi non vogliono perdere la fiducia nella giustizia dell’Inghilterra, nè affievolire le speranze in essa riposte e la fiducia nella possibilità di un’azione giovevole ai reciproci interessi. (al-Karmel, arabo musulmano di Caiffa, 22 e 26 ottobre 1921).

(1) Ossia il gergo inglese degli Ebrei degli Stati Uniti.

M. G.


Cap. 64

Top 63 cc ↓ 65 → § 64a

Relazione della Commissione d’inchiesta
per i disordini di Giaffa
da: Oriente Moderno,
Anno I, Nr. 7, p. 417-418
15 dicembre 1921.

Relazione della Commissione d’inchiesta per i disordini di Giaffa. - È stato pubblicato il rapporto della Commissione d’inchiesta sui disordini dello scorso maggio (Goverment White Paper, Cmd. 1540).

Come appendice è aggiunto il seguente riassunto dei risultati dell’inchiesta, con l’avvertenza che esso è stato fatto per convenienza del Governo, ma che non deve essere considerato come espressione delle opinioni della Commissione, se non letto con il testo del rapporto:

«La causa fondamentale dei tumulti di Giaffa e dei susseguenti atti di violenza è stato un senso di scontento, misto ad ostilità, degli Arabi contro gli Ebrei, dovuto a ragioni politiche ed economiche e connesso all’immigrazione ebraica e alla concezione, da parte degli Arabi, della politica sionista come derivante da elementi ebraici.

La causa immediata dei tumulti di Giaffa del 1° maggio fu una dimostrazione non autorizzata di Ebrei bolscevichi, seguita dal suo urto con una dimostrazione autorizzata del Partito del Lavoro ebraico.

La lotta di razza fu iniziata dagli Arabi e rapidamente degenerò in un conflitto violentissimo fra Arabi e Ebrei, in cui la maggioranza araba (gli oppressori furono generalmente gli Arabi) inflisse la maggior parte delle perdite.

Non si aspettava lo scoppio delle ostilità, nè esso fu premeditato, nè alcuna delle due parti era preparata a sostenerlo; ma lo stato d’animo della popolazione rendeva probabile un conflitto per qualsiasi provocazione fatta da qualsiasi Ebreo.

La massa degli Ebrei è contraria al Bolscevismo, e non è stata responsabile della dimostrazione bolscevica. Una volta cominciati i disordini, questi presero la forma di una ribellione antiebraica, dovuta a un sentimento antiebraico già molto acuto. Una gran parte delle comunità Cristiana e Musulmana la tollerarono, quantunque non incoraggiassero la violenza. Mentre alcuni degli Arabi colti sembrano aver incitato la folla, le personalità ragguardevoli di entrambe le parti, quali che fossero i loro sentimenti, aiutarono le autorità a sedare il tumulto.

La polizia, tranne alcune eccezioni, fu poco disciplinata e la sua opera inefficace; in molti casi rimase indifferente, e in alcuni fu anche a capo della violenza e vi partecipò.

La condotta dell’esercito fu ammirevole sotto ogni riguardo.

L’assalto di cinque colonie agricole ebraiche fu dovuto all’eccitamento prodotto negli Arabi dalle notizie dell’uccisione di Arabi compiuta da Ebrei a Giaffa. Nei due casi si credette troppo presto a racconti infondati di provocazione, e si agì senza verificare la verità delle notizie.

In questi assalti vi furono alcune perdite da parte degli Ebrei e molte da parte degli Arabi, principalmente a causa dell’intervento militare» (Palestine, 19-11-1921).

Si confronti anche Israel del 24-11-1921, in cui è dato il testo del rapporto, che non riproduciamo per brevità, e altresì il riassunto (ma con qualche differenza). - M. G.

Cap. 65

Top 64 cc ↓ 1922 → § 65a

La situazione nella Transgiordania
da: Oriente Moderno,
Anno I, Nr. 7, p. 418-419
15 dicembre 1921


La situazione nella Transgiordania. - Nel fasc. 5°, p. 292 col. I, abbiamo dato notizia dei gravi torbidi accaduti a Amman, capoluogo dello Stato della Transgiordania (hukumat sharqi al–Urdunn), in seguito alla notizia che le autorità inglesi di Gerusalemme avevano arrestato e consegnato ai Francesi Ibrahim Hanano. Ulteriori notizie mostrano che ci fu un vero tentativo di ribellione contro la Potenza mandataria (l’Inghilterra), promosso dal capo beduino Awdah Bu Tayih, noto per aver partecipato al tentativo siriano di arrestare a Khan Meithelun le truppe francesi avanzanti su Damasco (24 luglio 1920).

Il corrispondente palestinese del giornale al-Bashir di Beirut (organo dei Gesuiti e francofilo), in data 10 ottobre manda notizie pessimistiche sul disordine che regnerebbe nella Transgiordania e del quale cita vari esempi concreti, come aggressioni di carovane e scontri fra piccole tribù. Le cause di tale anarchia sarebbero di tre specie:
  1. d’ordine politico: l’Inghilterra avrebbe armati e sollevati quei paesi, lasciandoli a «sbranarsi» fra di loro, e negando poi, per reconditi fini politici, gli aiuti chiesti dallo sceriffo EmiroAbdullah
  2. d’ordine personale, ossia l’eccessiva longanimità (hilm) e tolleranza (tasahul) dell’Emiro predetto;
  3. d’ordine sociale, trattandosi in Transgiordania di vera società beduina, refrattaria a sistemi regolari di governo.
per sedare i disordini; Aggiunge il corrispondente che era inoltre prossima l’abolizione dei tribunali regolari (nizamiyyah), per tornare agli usi ed alle norme delle tribù beduine; e che infatti, persino nei centri maggiori, era ormai invalso il costume di nominarsi un giudice loro, quale arbitro (hakam) nelle liti sorgenti fra di loro. (al-Bashir, 20-10-1921). N.

Quest’ultima notizia è confermata dal medesimo corrispondente, in data 15 ottobre. Egli infatti ci dice che ad es-Salt, uno dei centri maggiori della regione, è venuto lo sceriffo Marzuq el-Tukhaimi in qualità di giudice, e che egli adempie con equità e con lode generale il suo ufficio, attenendosi tuttavia ai soli principi giuridici beduini. Egli siede nel piazzale (fana’) innanzi alla sua casa; la gente viene a lui, ed egli pronunzia il suo giudizio fra le parti in contesa, senza carte, senza formalità, senza tasse e senza ritardo. Può anche condannare alla prigione ed i suoi giudizi sono esecutivi. In modo analogo in ognuno dei centri maggiori della Transgiordania v’è uno sceriffo che aiuta il Governo locale con la propria influenza personale e giudica secondo quello che reputa essere il meglio.

Il corrispondente informa poi che il Governo della Transgiordania ha intenzione di istituire un «Parlamento» (maglis al-ummah) avente diritto di fare le leggi e di modificarle. Ma l’Emiro ‘Abdullah avrebbe dichiarato che i membri di questo Parlamento saranno nominati da lui e non elettivi, per evitare motivi di contese e di divisioni d’animo.

Comunica infine che da Gerusalemme si è recata ad ‘Amman, capitale della Transgiordania, per ossequiare l’Emiro ‘Abdallàh, una missione composta del siriano Haddad Pascià (plenipotenziario del «Governo arabo» [del Higiaz] a Londra), del noto colonnello inglese Lawrence e di Subhi Khadra; essi furono ospiti nell’attendamento dell’Emiro, presso ‘Amman. (al-Bashir, 22-10-1921). N.

Secondo la Depêche Coloniale del 9 novembre, il predetto colonnello Lawrence, anima della politica inglese in Arabia, si troverebbe ad ‘Amman nella carica provvisoria di consigliere politico dell’Emiro ‘Abdullah. D’altro canto notizie inviate da Caiffa al giornale al-Muqtabas di Damasco, e riprodotte in al-Bashir del 5 novembre, assicurano che ormai il Governo della Transgiordania non ha più alcun legame con l’Alto Commissario inglese per la Palestina (residente a Gerusalemme), e che invece gli è stato nominato un particolare delegato inglese, alla diretta dipendenza del Ministero delle Colonie. Ciò conferma la notizia della Dépêche coloniale. - N.

Il giornale arabo al-Muqallam del Cairo ha da ‘Amman in data 24 ottobre che fra l’Emiro ‘Abdullah e il Col. Lawrence sarebbe intervenuto il seguente accordo:

1° I fiduciari (mu’tamad) britannici in Transgiordania saranno ridotti ad uno solo, che avrà il suo centro ad Amman e non potrà ingerirsi negli affari interni della zona interna; egli avrà il titolo di Fiduciario Politico, sarà cioè una specie di ufficiale di collegamento (dabit irtibat).

2° La qualità (sifah) di ispettore di gendarmeria (mufattish ad-darak) sarà equivalente (muthilah) nel pieno senso della parola alla qualità di ufficiale arabo.

3° Le forze di gendarmeria mobile (ad-darak as-sayyar), istituite dagli Inglesi ad ‘Amman, dipenderanno dal Governo della Transgiordania, che potrà adoperarle e ripartirle e disporne in tutte le circostanze nelle quali ritenga necessario valersene.

4° Riconoscimento esplicito che non esiste alcun legame (‘ilaqah) politico od amministrativo tra la Transgiordania e la Palestina.

5° Sostituzione  di Mr. Abramson capo dei fiduciari britannici ad ‘Amman, noto per le sue tendenze sioniste, con un funzionario inglese di cui sia dimostrata la lontananza da siffatte tendenze, e la buona disposizione verso la questione Araba. (al-Muqattam, 5-11-1921). - V. V.

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Altri periodici del 1921. - Navigazione: Indice delle Fonti e Repertori: Cronologia - Analitico. - Forum: «Tribuna di “Civium Libertas”». - Societas: «Civium Libertas».

(segue: 1922)

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